31.05.22
Dopo il tanto parlare dell’ultimo anno sul turnover delle risorse, la gestione degli spazi lavorativi e domestici, e soprattutto dopo il polverone sollevato dall’intervista ad Elisabetta Franchi, anche noi diciamo la nostra su team, asset aziendali e congedo di maternità.
La pandemia ha segnato da tempo un cambio di rotta di quelle che sapevamo essere, almeno fino al momento del suo scoppio, le normali dinamiche di gestione del lavoro. Orari flessibili, la certezza di un posto di lavoro in ufficio, le scrivanie più o meno disordinate, il rumore degli open space e i momenti di pausa alla macchinetta del caffè: sono tutte istantanee che, nell’immaginario comune, fanno parte della quotidianità lavorativa pre pandemica.
Il lockdown, che di fatto ha segnato un arresto talvolta incisivo delle attività, ha dato il la a una serie di nuove abitudini lavorative che per molti aspetti si sono protratte anche a lockdown terminato. Di cosa si tratta? Abbiamo cercato di identificarle e di riassumerle in questi, speriamo interessanti, spunti di riflessione.
Una novità su tutte è rappresentata da ciò che comunemente in Italia (e solo in Italia) viene definito smart working, il lavoro intelligente. Lavorare da casa (v. remote working) non è più un miraggio, soprattutto per chi come noi ha la possibilità di essere produttivo con una buona connessione internet e un buon computer. La comodità degli spazi domestici è così diventata in fretta un valore aggiuntivo e per alcuni un requisito imprescindibile. Per altri invece lo smart working è diventato purtroppo una forma di alienazione, che azzera la socialità dell’essere umano.
I dibattitti online si succedono a colpi di favorevoli e contrari e assumono toni talvolta acerbi e ideologici. Vantaggi e svantaggi vengono snocciolati con gran dovizia di particolari e ognuno dice la sua. E visto che si parla di lavoro intelligente, analizzando pro e contro, anche noi ci siamo posti un interrogativo: quanto davvero è intelligente lavorare da casa (e allungare i tempi di relazione con i colleghi) quando si tratta di un lavoro che per essere di successo deve essere di team? Non abbiamo ancora trovato una risposta definitiva a questo interrogativo, quello che però sappiamo è che, dopo la pandemia, abbiamo riscontrato una forte esigenza di riappropriarsi dei propri spazi, non solo personali, ma anche lavorativi.
Così, se in alcuni casi, e questo è valido soprattutto per le risorse che svolgono mansioni tecniche, il remote working è stata una modalità di lavoro molto apprezzata, per altri abituati a lavorare in team e più a stretto contatto con i colleghi, il rientro in ufficio ha rappresentato un momento di agognata socializzazione.
Qual è quindi la soluzione? Noi l’abbiamo trovata e riassunta in una parola che era molto in voga qualche anno fa (e che talvolta ha assunto una connotazione purtroppo negativa): flessibilità.
Di chi è la flessibilità? In primis del dipendente che, a seconda del periodo, ha dovuto adattarsi a soluzioni diverse per lavorare, sia di tempo che di spazi. È però anche una flessibilità di tutto il team che, di volta in volta, deve adeguarsi alle diverse normalità acquisite.
Un ulteriore aspetto che abbiamo riscontrato, e che per noi è fondamentale per i nostri asset, è che nei mesi passati c’è stata, ma c’è tuttora, una grande responsabilità e voglia di venirsi incontro tra colleghi. Questo è dovuto essenzialmente alla grande stima reciproca e alla considerazione delle risorse. Sapere di lavorare tra professionisti che stimi è senza dubbio un grande incentivo alla collaborazione e alla tanto ricercata flessibilità. Riconoscere il valore dei colleghi significa aver ben presente il valore delle persone e della loro unicità. Si tratta di un grande bagaglio che portiamo a casa dal dopo pandemia, ma anche da anni di lavoro e politiche a favore della collaborazione. E a proposito di questo punto, abbiamo una bella storia da raccontarvi.
Fino a qualche giorno fa, ma ancora ne sentiamo gli strascichi, imperversava nel web e nei social una polemica ferocissima scaturita dall’intervista quantomeno stravagante che ha avuto come protagonista Elisabetta Franchi, la nota imprenditrice e fondatrice dell’omonima casa di moda. Dai dialoghi estrapolati, dalle successive diatribe online e dai processi mediatici, emerge quanto ancora oggi il congedo di maternità (anche soltanto ipotetico o in potenza), rappresenti purtroppo un oggettivo ostacolo alla carriera delle dipendenti di sesso femminile. Ragionamenti medioevali? Sì, soprattutto se comparati alla situazione attuale delle maternità delle nostre colleghe. Così ci siamo detti che era giunta l’ora di presentarvi loro.
Federica è una risorsa storica della nostra agenzia. Negli anni si è occupata di molteplici mansioni: dalla gestione dei contenuti, alle strategie di marketing, alla nostra piattaforma di Marketing Automation e molto altro. Lei c’era quando andavamo in fiera, lei c’era quando dovevamo scegliere gli influencer per un dato progetto, lei c’era anche quando dovevamo ricostruire gli asset del team digital. Quando poco meno di un anno fa ha annunciato la sua gravidanza, il nostro team non poteva che esserne entusiasta. Ci siamo adoperati, tutti dal primo all’ultimo, per favorire il passaggio di consegne e agevolare il suo congedo di maternità, e visto il largo anticipo con cui lo abbiamo saputo, abbiamo avuto tutto il tempo per fare le scelte giuste.
E a proposito di scelte giuste che, con il congedo di Federica, abbiamo assunto come sostituzione maternità la nostra collega Giulia. Con Giulia abbiamo fatto un percorso molto importante di affiancamento e lavoro a più mani, che nei mesi ci ha regalato tante soddisfazioni. I successi raggiunti da Giulia sono così tanti che oggi, anche se Federica è rientrata dal congedo di maternità, continua ad essere una risorsa del nostro team ingaggiata a tempo pieno.
Anche questa volta, ed è proprio il caso di dirlo, la qualità delle risorse vince due volte.